Tiger King siamo noi!

La serie di Netflix può aiutarci a capire perché ci ritroviamo isolati e governati da dilettanti megalomani e incapaci.


di: Jessa Crispin, The Guardian, Regno Unito

Stavo per presentare una petizione al governo affinché nel pacchetto di sostegno per la pande mia ci fosse anche un decreto che costringesse Netflix ad avere finalmente una programmazione originale decente. Una popolazione a pezzi e annoiata ti chiama al tuo dovere patriottico: divertirci senza prenderci in giro.

E proprio nel momento del maggiore bisogno, quando a gran parte degli statunitensi veniva ordinato di restare a casa, Netflix ha tirato fuori Tiger king.Quello che all’inizio sembrava l’ultimo arrivato nella lunga lista di documentari sullo sfruttamento di bianchi impoveriti si è rivelato arte. E, come spesso accade con l’arte migliore, ci rimanda l’immagine riflessa del nostro mondo, svela le nostre realtà nascoste e le nostre vergognose fisime.

Noi siamo Tiger king.

Tiger king siamo noi.

La libertà sopra ogni cosa

Ovviamente questa è la storia di Joe “Exotic” Schreibvogel, un uomo semplice con tre mariti e centinaia di tigri e altri animali rari assortiti in uno zoo privato. Ricorda storie classiche e ci racconta come il potere, la fama e l’accesso a cuccioli di tigre possano deformare un uomo un tempo comprensivo e gentile in un dominatore paranoico e sconsiderato.

Però può anche essere la storia di come ci siamo ritrovati al punto in cui ci troviamo adesso, in isolamento durante una pandemia, governati a distinguere la verità dalla finzione. Mostra come siamo arrivati a questo punto.

L’irrompere di qualcosa di selvaggio nei nostri spazi domestici è, dopotutto, proprio ciò che ci ha fatto ammalare. Tiger king fa luce su questo. Non parlo solo del modo in cui gli animali selvatici sono sfruttati e maltrattati per la gratificazione egotista e sessuale dei loro “proprietari”, anche se potete tranquillamente leggere Tiger king come un’allegoria, dove l’uso di cuccioli di tigre per attirare potenziali partner sessuali rinvia al modo in cui il massacro di animali come gli orsi, per le loro presunte proprietà afrodisiache, nei cosiddetti wet market ha creato le condizioni per la trasmissione del virus dagli animali all’uomo. Non c’è nemmeno bisogno di confinare tutto a culture lontane con giustificazioni razziste: basta paragonare le condizioni degli allevamenti del Kansas che hanno creato il virus dell’influenza spagnola nel 1918 con le gabbie troppo piccole in cui Joe ha tenuto per dieci anni i suoi scimpanzé.

Facendolo ci rendiamo conto che la nostra società dà priorità alla libertà sopra ogni altra cosa, a prescindere dai danni pro- vocati. Dagli uomini che rivendicano il permesso di tenere animali selvatici in un ambiente innaturale nonostante le sofferenze per gli animali stessi e il pericolo di amputazioni o di morte dei loro proprietari ai predicatori di oggi che si rifiutano ostinatamente mente d’interrompere i loro servizi religiosi nonostante le ordinanze di distanziamento sociale dovute all’emergenza sanitaria, perché se smettiamo di andare in chiesa per evitare di contrarre una malattia che ci fa annegare nei nostri fluidi allora è come vivere in Russia.

Tuttavia il messaggio forse più potente di Tiger king è il riferimento alle persone che sono state elette e selezionate per tenerci al sicuro, darci saggi consigli e guidarci attraverso questa crisi.

La maggior parte dell’intrattenimento che rientra nella categoria del true crime è tutto un canto d’amore per i poliziotti e ci presenta investigatori intelligenti e appassionati che non riescono a togliersi di mente un caso irrisolto e che inseguiranno instancabilmente la verità e la giustizia, a prescindere da quanto ci vorrà.

Questi uomini, perché si tratta quasi sempre di uomini, saranno macilenti e anziani, così sarà più facile per noi immaginare il loro duro lavoro e le notti insonni.

Goffi e inadeguati

Tiger king ci mostra invece le autorità come spesso sono nella realtà: goffe, inadeguate e ubriache di potere. L’investigatore che deve trovare il marito scomparso di Carole Baskin: ,bè insomma, forse un giorno troveremo qualcosa, o magari qualcuno dirà qualcosa. Il pubblico ministero che potrebbe essersi basato sulla testimonianza di un

bugiardo per far andare in carcere un imputato: bè, accidenti, mi era sembrato credibile, a giudicare da come ha detto esatta- mente le cose che volevo che dicesse.

Passando da Tiger king ai notiziari, mi sembrava che tra le due cose non ci fosse molta differenza. Il più importante componente della squadra della Casa Bianca per il covid-19: ma dai, penso davvero che l’America sia la migliore al mondo nell’eseguire test e curare i malati. Il presidente che per mesi ha insistito a dire che il virus era un problema di lieve entità finchè il contagio non si è diffuso provocando il numero più elevato di casi al mondo: bè, su, l’America è la migliore, stiamo facendo il meglio, andrà tutto bene, oh, e già che ci siamo, magari metto a capo di tutto questo mio genero, privo di qualsiasi esperienza in qualsiasi cosa. Nel frattempo il numero di pazienti diagnosticati e di morti continua a crescere in modo esponenziale.

Le patologie esibite dai vari protagonisti di Tiger king – la sete di potere, il bisogno costante di avere di più, la disponibilità a eliminare qualsiasi ostacolo ai propri desideri, anche facendo ricorso alla violenza – mostrano una società che non è più in grado di prendersi cura dei suoi malati e dei suoi poveri, che non riesce ad approvare misure che potrebbero ridurre le sofferenze reali.

Nella serie c’è tutto. E presto vedremo nei notiziari sempre più terrificanti quello che finora abbiamo guardato come intrattenimento, man mano che i morti provocati dal virus aumenteranno e travolgeranno il nostro sistema sanitario guasto.

Forse le parole del proprietario del locale di spogliarello, nonché informatore della polizia federale e presunto genio della truffa James Garretson, riflettono meglio il momento in cui viviamo:

Tutti vogliono essere i più grandi. Nessuno però pensa a essere il più simpatico”.

Mettete questa frase sulle nostre lapidi.

Jessa Crispin, giornalista e scrittrice, conduce il podcast Public intellectual.

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