Papà dorme sempre


di: Livia Pagani

Tra i tanti lavori che ho testato per pagare le bollette, ho avuto il piacere di fare la babysitter. Due bambini, tra molti con cui ho interagito, mi sono rimasti nel cuore. La ragione principale per cui il mio ricordo è più legato a loro è che in loro ho percepito da subito e con chiarezza una malinconia, il tipo di malinconia alla quale – per mia natura – rimango invischiata.Fabrizio 8 anni (all’epoca) e Antonia 4 anni (sempre all’epoca). Genitori separati, tanto separati che durante tutto il periodo della mia collaborazione, non sono riuscita a conoscere il papà. Che però c’era… Una volta la settimana regolarmente andava lui a prenderli a scuola e li portava a casa sua nella sperduta campagna di non so quale paesino di provincia. Per poi riportarli a Roma all’alba a scuola, pronti per ricominciare la loro vita con la madre fino al fine settimana.

Fabrizio, bambino estremamente acuto e sensibile che sta già subendo le ritorsioni di due genitori che si sono separati da poco tempo, ad un certo punto smette di voler passare del tempo col padre.

Semplicemente decide che non vuole più andarci. Interrogato sul perché non dà risposte esaustive. Dice solo che il padre “si addormenta” sempre, che è sempre stanco e che non ha voglia di fare niente né con lui né con la sorella.

Allora, sempre con la discrezione che dovrebbe avere una che non è della famiglia ma che comunque con quella famiglia ci deve interagire, chiedo come mai. E scopro che quest’uomo fa una vita da cane, per pagare gli alimenti ai figli, che vive in una specie di casupola umida e in mezzo a centinai di ettari incolti di campagna. Casupola rimediata dalla famiglia di lui, per fare in modo che l’ex moglie e i figli possano vivere in città (Centocelle per chi conosce Roma non è, tra l’altro, la città del sole).

In tutto questo, il povero Fabrizio, che non può e non dovrebbe comprendere le logiche meschine della società che impediscono ad un uomo di essere un padre sempre attivo e presente, si chiede come mai debba trascorrere del tempo in quell’abisso di umidità, sonno e tristezza.

Ciò che poteva contare una volta, nella gestione delle politiche familiari, semplicemente non conta più.

Questi uomini affrontano spese legali che sono superiori alle loro possibilità, devono mangiare e far mangiare una famiglia che non è più la loro. Devono pagare un mutuo, un affitto, una o due scuole, le ripetizioni, il calcio, il rugby, la danza, la piscina. Per non parlare degli extra: se il figlio o i figli in questione sono adolescenti c’è il motorino, il campo scuola, lo smartphone, internet illimitato, la pizza il sabato, la scampagnata la domenica.

Ovviamente le madri lavorano, certo. Lavorano per le scarpe, per la corrente, per i vestiti, per la benzina per accompagnarli ai loro centinaia di appuntamenti (perché in città i bambini devono fare sport, non vanno più a giocare al parco e quando ci vanno si annoiano a morte).

Io credo che i padri soffrano due volte. Non perdono solo la casa (l’uomo si adatta ai mutamenti del nido in maniera più lenta e dolorosa delle donne), perdono la donna che hanno amato (che anche se non amano più rimane la madre dei loro figli) e perdono la gioia di veder crescere giorno dopo giorno. Quando tornano a casa non hanno rumori molesti, non pestano lego appuntiti e non devono litigare per vedere un tg. Pensate che tristezza. Ma per fortuna esiste il divorzio, pilastro imprescindibile per qualsiasi società evoluta e in cui io credo fermamente.

Ma se vent’anni fa un uomo riusciva a mantenere due famiglie e distinte e a riuscire a sopportare anche il disagio psicologico dell’allontanamento, oggi questi uomini non hanno nessuno a cui rivolgersi.

Non sono tutelati, non sono ascoltati, non hanno sussidi, non possono fare appello a nessuna istituzione. Se ne devono andare di casa e basta e poi come faranno, certo non è un problema delle donne, che peccano di superbia e di una straordinaria forma silente di vendetta. Soprattutto nel caso in cui la donna, la mamma, sa di essere nel giusto. Allora l’accanimento è decisivo, le scadenze diventano puntualissime.

Ma il papà di Fabrizio, che non ce la fa neanche ad andare a conoscere la ragazza che va a prendere i suoi figli a scuola tutti i giorni, è solo un esempio della stanchezza interiore che provano questi uomini quando si trovano a dover affrontare queste separazione.

La risposta che possiamo dare a questi bambini qual è?

Mamma e papà hanno fatto bene a separarsi, se il clima in casa era irrespirabile e se non si amano più e tu devi avere pazienza se papà quando ti viene a prendere non ce la fa a giocare con te. Lavora tanto, troppo è sfinito.

Fabrizio potrebbe dire: ma non potrebbe tornare tutto come prima? Voglio dire: se il cambiamento così radicale deve, necessariamente, toccare questi bambini e già da piccoli si devono adattare ad uno stile di vita diverso e traumatico, non c’è proprio il verso di fare in modo che questo colpo venga attutito?

Come fai a proteggere i bambini?

Secondo me proteggendo i loro genitori.

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